La Svizzera si scalda il doppio del resto del mondo: a fine secolo 5 gradi in più e l’80% di neve in meno

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Martedì scorso, 4 novembre, al Palazzo federale di Berna sono state presentate le nuove elaborazioni degli scenari climatici futuri per la Svizzera (CH2025), che aggiornano la precedente versione di sette anni fa (CH2018) e costituiscono così una solida e rinnovata base scientifica per strutturare le indispensabili azioni di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, a tutti i livelli della società e dell’economia. Un prodotto di ricerca e calcolo di grande importanza e qualità, frutto del lavoro di MeteoSvizzera svolto in collaborazione con il Politecnico di Zurigo e il Center for Climate System Modeling (C2SM). Pur con inevitabili sfumature imposte al clima dalla complessa geografia montuosa, considerata la centralità del territorio elvetico nella regione alpina i nuovi scenari assumono particolare interesse anche per le zone limitrofe, tra cui la Valle d’Aosta, l’alto Piemonte e l’alta Lombardia.

In estrema sintesi, ciò che molto probabilmente ci aspetta nel prosieguo del secolo si può schematizzare in: più caldo, più estremi di calura e di precipitazioni, estati più secche, e meno neve. In generale, non che questo sia una novità rispetto a quanto già noto, tuttavia dalla precedente edizione (CH2018) le prospettive di cambiamento climatico purtroppo per noi sono ulteriormente peggiorate.

Partiamo anzitutto dai dati osservati che delineano le tendenze in atto: infatti i cambiamenti climatici sono già una realtà. Se a livello mondiale e dal periodo preindustriale (1871-1900) le temperature medie sono aumentate di 1,4 °C, in territorio elvetico l’incremento termico è doppio, e raggiunge i 2,9 °C. Dagli Anni Ottanta, ovvero nell’ultimo quarantennio, in estate l’intensità delle forti precipitazioni su durate di 10 minuti è aumentata di circa il 20%, ragion per cui i nubifragi soprattutto estivi provocano più allagamenti e danni; tuttavia l’umidità del suolo è diminuita del 5-10% a causa della riduzione delle precipitazioni complessive, del maggiore soleggiamento e dell’evapotraspirazione più marcata dovuta a sua volta al caldo più intenso. Inoltre, in un secolo la quota media dello zero termico in inverno in Svizzera è aumentata di circa 500 metri, passando da 420 m a 900 m, così le precipitazioni avvengono sempre più spesso in forma di pioggia anziché di neve, non solo in pianura e a fondovalle, ma anche in montagna.

Ed eccoci alle proiezioni per il futuro. Considerando uno scenario globale di +3 °C rispetto al periodo preindustriale – che peraltro è quello verso il quale ci proiettano le attuali politiche climatiche, ancora insufficienti a evitare cambiamenti pericolosi nei sistemi terrestri – ci si aspetta che in Svizzera le temperature aumentino di 4,9 °C (ovvero +2,9 °C rispetto al trentennio di riferimento più recente 1991-2020), che la frequenza dei giorni estremamente caldi, con tempo di ritorno oggi cinquantennale, aumenti di ben 17 volte, e che la ricorrenza di siccità estive attualmente di portata decennale triplichi, sviluppando situazioni più favorevoli alla propagazione di incendi forestali. Allo stesso tempo, sempre in un mondo a +3 °C, in Svizzera le precipitazioni giornaliere più intense potranno aumentare di circa il 9% rispetto all’attuale (1991-2020), e l’intensità di un evento piovoso di durata un giorno con tempo di ritorno cinquantennale è attesa in incremento dell’11%, alimentando ulteriormente la propensione ai dissesti. Lo zero termico invernale potrà salire di altri cinquecento metri circa rendendo più marginale lo spessore e la permanenza del manto nevoso, tanto che la riserva idrica in esso immagazzinata (intesa come media nazionale del periodo da settembre a maggio) diminuirà a tutte le quote, ma in modo più evidente tra i 500 e 1000 metri (-80%) rispetto all’alta montagna (-44% a 2000-2500 m). Altri dettagli sono contenuti nel bell’opuscolo di sintesi che affianca il rapporto scientifico esteso.

Con scenari di riscaldamento globale più contenuti (+1,5 °C e +2 °C) le conseguenze sarebbero meno severe, e ogni decimo di grado in meno conta, nel fare in modo che gli impatti dei cambiamenti climatici siano meno gravi nella vita quotidiana delle prossime generazioni. Dipende da noi, dalle scelte di decarbonizzazione dell’economia che fin da ora avremo il coraggio e l’intelligenza di fare oppure no. Mai come oggi abbiamo avuto a disposizione conoscenza e tecnologie per far fronte in maniera corale a una delle più grandi sfide che abbiamo davanti, ma al tempo stesso, paradossalmente, il rifiuto per la scienza, il complottismo e la disinformazione hanno raggiunto vette inedite e preoccupanti, e mettono in pericolo una transizione ecologica ed energetica già di per sé lunga e complessa.

Da lunedì prossimo i riflettori saranno puntati sulla Cop30 di Belém (Brasile), la trentesima conferenza Onu sui cambiamenti climatici, nella speranza che le delegazioni di quasi tutti i Paesi del pianeta (grandi assenti gli Stati Uniti, per folle scelta di Trump) e le varie parti del mondo economico e produttivo coinvolte compiano progressi nel percorso negoziale verso la riduzione delle emissioni, il potenziamento della finanza per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, e il disinvestimento dalle fonti fossili.

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