«Maria!». La voce di un uomo ha squarciato il rumore della pioggia che batteva sul Mar dei Caraibi, completamente buio. Si udiva appena, tra due barche sballottate da onde alte tre metri.
Sulla barca più piccola, una semplice lancia da pesca, alcune persone agitavano i telefoni come fossero razzi di emergenza. L’imbarcazione più grande si è avvicinata lentamente.
Una figura avvolta in una giacca pesante e un cappellino nero ha alzato le braccia: «Sono io, María».
La leader dell’opposizione venezuelana, María Corina Machado, aveva appena superato la parte più rischiosa della fuga dal Venezuela per raggiungere la Norvegia e ricevere il Premio Nobel per la Pace. Era l’alba di martedì quando il team incaricato di salvarla l’ha trovata finalmente. Parte della scena è stata ripresa in un video visionato dal Wall Street Journal.
Per tre ore, Machado e il suo gruppo erano rimasti alla deriva nel Golfo del Venezuela: il GPS era caduto in acqua a causa del mare agitato e il dispositivo di riserva non funzionava. Non riuscendo a raggiungere il punto d’incontro prestabilito, erano scomparsi nel buio, costringendo la squadra di recupero a cercarli nelle acque pericolose.
Bryan Stern, un ex veterano americano incaricato dell’estrazione, ha raccontato di averla tirata a bordo della barca più grande, offrendole subito snack, Gatorade e un maglione asciutto. Ha avvisato la sua squadra con un messaggio in codice: «Jackpot, jackpot, jackpot».
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In un video “per dare la prova che fosse in vita” inviato alle autorità statunitensi, Machado cerca di mantenere l’equilibrio mentre la barca salta sulle onde: «Mi chiamo María Corina Machado», dice, «sono viva, al sicuro e molto grata».
Stern, che guida un’organizzazione specializzata in operazioni di questo tipo composta da ex militari e veterani dell’intelligence, ha chiamato la missione “Operazione Dinamite d’Oro”, in riferimento al Nobel per la Pace e ad Alfred Nobel, inventore della dinamite.
Nuovi dettagli forniti da Stern e da un’altra persona a conoscenza dell’operazione — insieme a messaggi, foto e video con data e ora — mostrano quanto la missione sia stata vicina al fallimento.
Per tre giorni, Stern e più di trenta collaboratori avevano cercato di far uscire dal Venezuela la principale rivale del presidente Nicolás Maduro. Machado viveva in clandestinità dalle elezioni del 2024, da cui era stata esclusa nonostante, secondo gli Stati Uniti, avesse comunque vinto attraverso la sua coalizione. Maduro aveva ignorato il risultato.
Stern ha detto di essere rimasto in contatto continuo con alti ufficiali militari statunitensi prima e durante l’operazione, inviando la posizione in tempo reale, aggiornamenti sui movimenti e, in un momento critico, chiedendo persino se l’esercito potesse individuare la barca scomparsa.
L’operazione è stata finanziata da donatori privati, senza soldi del governo USA. Ma funzionari americani di alto livello seguivano il viaggio in diretta, minuto per minuto, tramite WhatsApp.
Il viaggio di Machado è durato quasi tre giorni: prima un trasferimento via terra, poi una barca dalla costa venezuelana fino all’isola di Curaçao, un tragitto in mare durato circa dodici ore. Da lì, un jet privato l’ha portata a Oslo, dove è arrivata appena dopo la cerimonia del Nobel.
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L’operazione è iniziata venerdì sera, 5 dicembre. Stern stava per imbarcarsi su un volo da Miami quando ha ricevuto la chiamata: bisognava estrarre un “pacchetto” importante dal Venezuela. Quando ha capito che si trattava di una donna, ha intuito subito che fosse Machado. «È il sogno o l’incubo di chi fa controspionaggio», ha commentato.
Il piano prevedeva diversi scenari: elicotteri, estrazioni via terra verso Guyana o Colombia, persino voci fatte circolare intenzionalmente per confondere gli agenti del regime — che Machado fosse già in Europa, oppure diretta in Colombia, o persino su un aereo americano insieme a dei deportati.
Lunedì pomeriggio, Machado ha lasciato il suo rifugio in incognito, con una parrucca e un travestimento. Il team aveva preparato una barca da pesca dall’aspetto malandato, per non attirare i controlli riservati alle imbarcazioni dei narcotrafficanti, bombardate di recente dagli Stati Uniti.
Ma il motore ha avuto problemi: dodici ore di ritardo. La partenza prevista all’alba è stata rimandata al tramonto. Una volta in mare, le onde altissime hanno fatto ammalare uno dei membri dell’equipaggio. Le condizioni terribili rallentavano la corsa, ma allo stesso tempo nascondevano la barca ai radar.
Il timore maggiore era uno scontro con pattuglie americane: «Due barche che si incontrano nel buio non sembrano esattamente innocenti», ha detto Stern. Per questo aveva avvisato i militari USA: «Teneteci d’occhio, non colpiteci, e se state per fare qualche operazione, ditecelo così ci allontaniamo».
Arrivato al punto d’incontro con la sua barca più grande, ha aspettato. E ha aspettato. Machado non arrivava. Nessun segnale. Tutto buio.
Ha scritto al contatto della Marina USA: «Non è arrivata. Vedete qualcosa dal cielo?»
La risposta: «Forse ha avuto paura? Potete riprovare?»
Ma Stern ha deciso di restare: «Ancora due ore. Poi ce ne andiamo». Temeva che le forze venezuelane li avrebbero intercettati.
Poi, finalmente, intorno alle 23, un segnale: la barca di Machado era fuori rotta di 25 miglia. Una volta trovata, hanno illuminato i passeggeri per assicurarsi che non fossero armati. Machado è salita a bordo.
«Sono Bryan Stern, piacere», le ha detto. Pensava che un accento americano potesse rassicurarla.
Ha scattato una foto con lei sulla barca e l’ha inviata alle autorità americane. Durante il tragitto verso Curaçao, Machado ha parlato quasi solo di sua figlia, che non vedeva da due anni.
L’isola permette un ingresso formale entro 24 ore. Machado è rimasta solo poche ore prima di imbarcarsi sull’aereo privato diretto a Oslo. Mercoledì mattina, alle 6:42, è decollata. A Oslo ha definito la sua fuga «un miracolo».
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