Divario di genere, cresce l’occupazione femminile ma le donne hanno i salari più bassi

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Tra il 2021 e il 2024 oltre 600mila donne in più sono entrate nel mercato del lavoro italiano, portando il tasso di occupazione femminile al 53,9%. Un incremento che ha ridotto la disoccupazione al 7,4%, il livello più basso degli ultimi vent’anni, ma con livelli record di divario tra le retribuzioni. Il Gender Policy Report 2025 presentato dall’Inapp a Roma mostra come la distanza tra uomini e donne nel mondo del lavoro rimanga profonda. «I dati danno l’idea di un progressivo miglioramento sui tassi di occupazione femminile rispetto al passato e anche rispetto allo scorso anno. C’è però un problema: questa differenza di genere», spiega Loriano Bigi, direttore generale dell’Inapp. Oggi lavorano 13,3 milioni di uomini contro 10 milioni di donne, mentre le inattive sono 7,7 milioni contro 4,5 milioni di inattivi. Il tasso di occupazione maschile raggiunge il 71,4%, oltre 17 punti percentuali in più rispetto a quello femminile. L’inattività femminile al 41,7% è quasi il doppio di quella maschile al 23,9%.


Nel Mezzogiorno il divario supera i 20-25 punti: in Puglia arriva al 27,3%, in Campania al 26,4%, in Calabria al 23,5%. La media europea dell’occupazione femminile si attesta al 66,2%, a testimonianza di quanto terreno resti da recuperare.

Gli ostacoli alla carriera femminile

Uno dei momenti principali per l’ampliamento del divario è la maternità. Tra i 25 e i 49 anni con almeno un figlio fino a 5 anni, lavora il 92% dei padri ma solo il 58,3% delle madri. La cura familiare rappresenta il 34,2% delle motivazioni di inattività per le donne contro il 2,5% per gli uomini, con picchi del 40-60% nella fascia 25-44 anni. La penalità si riflette nelle retribuzioni: tra le madri con figli da 0 a 3 anni è a basso salario il 34,6%, contro l’1,9% dei padri.

Il divario dei salari

Le differenze non riguardano soltanto l’accesso al lavoro. Le donne rappresentano il 71,3% dei lavoratori dipendenti a bassa retribuzione: il 17,6% delle lavoratrici percepisce salari bassi, contro il 5,9% dei lavoratori uomini. L’81,3% delle donne con retribuzioni basse lavora part-time, spesso non per scelta. Nei nuovi contratti a tempo indeterminato è part-time il 22% dei contratti maschili e il 50% di quelli femminili, nei determinati il 33% per gli uomini e il 64% per le donne.

La crescita dell’occupazione si concentra nei settori con una già forte predominanza femminile: commercio, alberghi e ristorazione, servizi alle famiglie, sanità e istruzione. Nel settore alberghiero e della ristorazione è a basso salario il 27,1% delle donne contro il 12,1% degli uomini. Nelle professioni non qualificate la percentuale sale al 39,4% per le donne contro il 12% per gli uomini. Le donne sono sovrarappresentate nelle classi retributive fino a 20mila euro annui e diventano minoranza man mano che la retribuzione cresce.

«A perderci è proprio la società, perché ci sono delle competenze, delle capacità e delle ricchezze che non sono messe in gioco – ha sottolineato Bigi –. Le donne hanno diritto a poter accedere al pari di tutti gli altri al mondo del lavoro». «Dalla crescita del tasso di occupazione delle donne in età di lavoro – spiega il presidente dell’Inapp Natale Forlani – dipende la capacità di rigenerare la nostra popolazione attiva per soddisfare i fabbisogni del sistema produttivo e per rendere sostenibili le prestazioni sociali». Le criticità sono legate «alle caratteristiche della domanda di lavoro, soprattutto nei servizi a basso valore aggiunto che penalizzano la qualità dei rapporti di lavoro e dalla carenza dei servizi come la sanità, il lavoro di cura e l’istruzione».

Colf e badanti

Il caso del lavoro domestico è emblematico di come la carenza di servizi di cura ricada sulle donne. Tra il 2015 e il 2024 l’età di colf e badanti è aumentata costantemente: la quota tra 25 e 34 anni si è dimezzata dal 14,3% al 7%, mentre quella degli over 65 è quasi quadruplicata dal 2,8% al 10,4%. La fascia 50-64 anni copre oggi oltre la metà della forza lavoro nel settore. Il numero complessivo si riduce progressivamente, senza ricambio generazionale, mentre il costo diventa sempre meno sostenibile per le famiglie.

Il 60% degli anziani riceve assistenza solo informale. «Colf e badanti rappresentano un’opzione, ma sono sempre meno, sempre più anziane e soprattutto il costo del loro lavoro è sempre meno accessibile per le famiglie», è stato evidenziato durante la presentazione del rapporto.

Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un investimento dell’1,1% del prodotto interno lordo nei servizi di educazione e cura per l’infanzia e dell’1,8% nei servizi di cura a lungo termine consentirebbe la creazione di oltre 26 milioni di posti di lavoro in Europa entro il 2035, con un potenziale aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro.

Il ruolo dell’Ai

C’è poi l’intelligenza artificiale che rischia di aggravare la situazione. «La rivoluzione tecnologica ha mostrato non solo un forte potenziale di ridistribuzione delle professioni, ma anche la capacità di incidere più negativamente sul lavoro femminile – ha spiegato Monica Esposito, responsabile del gruppo di ricerca dell’Inapp –. Gli algoritmi tendono a perpetuare una serie di stereotipi e pregiudizi che sono già insiti in chi li progetta», riproducendo discriminazioni già presenti nel mercato tradizionale. Nei prossimi anni quasi un quarto delle offerte in alcuni paesi europei richiederà competenze legate all’intelligenza artificiale, rendendo necessari interventi correttivi nel quadro regolatorio.

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