Insonnia, ansia e timore di domande impossibili di Fisica, che si conferma la bestia nera. La notte prima dell’ultimo appello del Semestre aperto di Medicina e Chirurgia ha il sapore ansiogeno dell’esame di maturità per i candidati intervistati da Skuola.net.
Sui gruppi social degli aspiranti camici bianchi hanno fatto il loro ingresso persino gli «spacciatori» delle domande del test (20 euro per avere il «file della svolta»). E su Google Trends sono apparsi picchi di ricerca su alcuni argomenti correlati alla prova.
Il sondaggio condotto su 1.000 giovani impegnati nella prova di oggi, una platea che fa parte di un bacino di candidati molto più ampio (circa 46 mila studenti) che comprende la minoranza di chi non aveva tentato le prove del 20 novembre, tutti i ripetenti bocciati in una o più materie al primo appello e anche chi, pur avendo superato una o più prove, ha rifiutato il voto per tentare di migliorare il proprio posizionamento in vista della graduatoria nazionale.
Se si chiede agli studenti di indicare la prova più temuta in assoluto, nessuno ha dubbi: per il 32% Fisica rimane la prova più ostica, davanti a Chimica (20%) e Biologia (16%). Senza trascurare quel 32% che ammette, in realtà, di avere trovato tutte le prove molto difficili. Quasi uno studente su due ha giudicato la prova di Fisica difficile o molto difficile (46%), solo il 16% la giudica facile e il 20% gestibile.
Sul resto del «pacchetto» i giudizi appaiono invece più ponderati. Per oltre uno studente su due la prova di Chimica è stata più che fattibile: per il 20% è stata facile, per il 31% quantomeno gestibile. Sul fronte opposto, quasi 1 su 4 l’ha definita difficile e l’11% molto difficile.
La prova ritenuta complessivamente più agevole sembra però essere stata Biologia. Il 19% la considera facile, il 28% gestibile; contro il 19% che la giudica difficile e il 15% molto difficile, mentre il 19% non l’ha affrontata.
IL CASO
Foto delle domande online e accuse di irregolarità al primo esame di Medicina. Cosa succede adesso?
21 Novembre 2025
Uno dei punti più critici che emerge riguarda, poi, il confronto tra le prove vere e proprie e gli strumenti di preparazione. Qui, il dato centrale vede oltre un terzo del campione rilevare uno scarto netto tra «allenamento» ed esame, alimentando la sensazione di essere arrivati meno preparati del previsto.
Il 35% degli studenti dichiara, infatti, che i test sono risultati più difficili delle simulazioni e dei materiali utilizzati per prepararsi. Solo il 13% li ha trovati più facili, mentre il 31% li giudica sullo stesso livello. Il 21%, infine, ammette di non aver utilizzato simulazioni o testi aggiuntivi.
Ancora più marcata è la distanza percepita tra i contenuti delle lezioni e le domande proposte. Il 31% degli studenti afferma di aver trovato molte domande inattese o «fuori programma», mentre un ulteriore 39% ne ha individuate comunque alcune disallineate. Solo il 30% sostiene che, in teoria, «si potesse sapere tutto». Sette studenti su dieci hanno avvertito una frattura, più o meno ampia, tra ciò che è stato fatto a lezione e ciò che è stato effettivamente chiesto.
E poi il capitolo più delicato: la regolarità delle prove, con due studenti su tre hanno percepito un’anomalia nello svolgimento degli esami del 20 novembre. Solo il 35% degli studenti afferma che tutto si sia svolto in modo regolare, senza notare disservizi né possibili brogli.
Il 23% segnala, invece, la presenza di entrambe le criticità, ossia problemi organizzativi e tentativi di copiaggio. Un altro 23% indica solo brogli o tentativi di copiaggio, mentre il 19% riferisce solo di disservizi organizzativi: un elemento che pesa enormemente sul clima con cui si affronterà il secondo appello.
Purtroppo non si tratta di una novità, anche in passato i tradizionali test d’ingresso erano stati falcidiati da scivoloni simili – uno su tutti, la clamorosa scomparsa delle domande dei test prima delle prove avvenuta a Bari nel 2014 – che hanno aperto la strada a migliaia di ricorsi, alcuni coronati da successo, altri rispediti al mittente.
Parla un esperto: anomalie, ricorsi e cosa fare se si resta fuori
E allora la domanda sorge spontanea: vale la pena provare la strada del ricorso per coronare il sogno di studiare medicina? Skuola.net lo ha chiesto all’avvocato Michele Bonetti, esperto in materia e promotore di numerose campagne di ricorsi collettivi coronate da successo come quella relativa ai fatti del 2014, che gli consentì di far iscrivere circa 7.000 ricorrenti in sovrannumero.
Le irregolarità segnalate sono numerosissime, ma è poco utile chiedere l’annullamento delle singole prove di coloro che hanno divulgato le domande, e questo perché il problema principale non è l’individuazione di quei due o tre candidati che hanno consentito la fuoriuscita dei test, bensì l’individuazione dei «fruitori».
L’identificazione degli studenti che sono stati avvantaggiati dalla fuoriuscita delle domande non è concretamente possibile, tuttavia il fatto che ciò sia avvenuto è di per sé sufficiente all’alterazione di tutta la graduatoria nazionale e, come già avvenuto nel 2014, dell’ammissione di tutti i partecipanti al semestre filtro. Quanto accaduto nelle aule d’esame è il sintomo delle numerose anomalie già presenti nel testo legislativo della riforma in quanto la normativa ha istituzionalizzato la violazione dell’anonimato.
Lo stesso Ministero, infatti, ha previsto che la commissione identifichi gli studenti e assegni loro i posti. A questo punto agli studenti vengono consegnate le schede anagrafiche precompilate e 4 etichette identificative, una da apporre sulla scheda anagrafica e le altre tre da apporre sui tre esami.
Alla fine delle prove la Commissione ritira tutto il materiale, ovverosia la scheda anagrafica e gli elaborati, tutti con il codice identificativo apposto. In poche e semplici parole per i commissari è semplicissimo associare il nome del candidato al codice assegnato e, dunque, associare la prova al candidato.
La possibilità di associare il codice al candidato assume rilevanza in particolare quest’anno perché i compiti, dopo la correzione ottica effettuata presso il CINECA, ritornano negli Atenei per le correzioni delle 16 domande «aperte» da parte delle commissioni interne. È evidente che in questo modo il principio di riservatezza non viene pienamente garantito a maggior ragione in quelle sedi dove la carta d’identità è stata esibita sul banco, vicino alle etichette identificative e alla scheda anagrafica precompilata, durante tutto lo svolgimento della prova.
Questi fatti ricordano molto quello che è successo nel 2014 quando si verificò la fuoriuscita di un plico presso l’Ateneo di Bari circostanza che, congiuntamente alla violazione dell’anonimato caratterizzata proprio dalla possibilità di associazione del codice alfanumerico all’identità del candidato, determinò l’accoglimento di tutti i nostri ricorsi e l’ammissione di oltre 7000 ricorrenti di tutta Italia.
Questo perché trattandosi di graduatoria nazionale, l’illegittimità avvenuta in una sede ha effetti anche su tutte le altre. Paradossalmente le eventuali ammissioni soprannumerarie potrebbero salvare una prova che dovrebbe essere annullata con grave nocumento per tutti.
I candidati possono fare ricorso? Insieme all’UDU abbiamo inoltrato un reclamo collettivo al Comitato Europeo dei Diritti Sociali, abbiamo inoltrato diffide agli Atenei per garantire agli studenti la possibilità di scegliere il voto più alto a prescindere dall’eventuale rinuncia al primo appello, abbiamo proposto istanze di accesso agli atti presso le Università e il Ministero ivi compreso un accesso civico generalizzato finalizzato all’immediata pubblicazione di tutti i dati. Ora bisogna agire immediatamente con la proposizione del maxi ricorso collettivo al TAR del Lazio, chiedendo l’ammissione in prima sede di tutti gli studenti iscritti al semestre filtro che, di fatto, sono già dentro gli Atenei.
Oltre al ricorso collettivo, potranno essere predisposti ricorsi individuali su casi particolari per eventuali annullamenti delle prove o dei quesiti, per l’occupazione dei posti liberi rimasti presso alcune sedi, per la mancata concessione di misure compensative agli studenti che ne avevano diritto e altre condizioni peculiari da valutare caso per caso. Dopo la pubblicazione degli esiti della prima prova, gli studenti si sono trovati costretti a decidere, in sole 48 ore, se ripetere o meno le prove, senza alcun punto di riferimento. Una scelta completamente alla cieca, perché non è possibile sapere se il voto della prima prova sarà sufficiente per collocarsi in posizione utile in graduatoria o meno.
Chi ha deciso di rifare la prova ha perso automaticamente il voto già acquisito, anche se positivo. Va considerato che agli studenti è stato richiesto uno sforzo straordinario: tre esami universitari da svolgere nello stesso giorno, ciascuno della durata di 45 minuti e con soli 15 minuti di intervallo tra le prove, preceduti da una preparazione di appena un mese o due offerta dagli Atenei e disomogenea su tutto il territorio nazionale. Nel caso in cui non si dovessero collocare in posizione utile, gli aspiranti medici, odontoiatri e veterinari potranno iscriversi presso corsi di laurea affini che però, spesso, non sono in linea con i loro reali interessi, con il rischio concreto di abbandono o scarso rendimento, vanificando così l’obiettivo di “non perdere l’anno”.
Oltretutto, permane il dubbio sulla reale capienza dei corsi affini, perché l’iscrizione è consentita solo entro il limite del 20% dei posti banditi e chi non si collocherà entro questa percentuale rischierà di non avere un piano B.
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