Fedez si racconta in un libro: il tentato suicidio, il divorzio dalla Ferragni e le amicizie con gli ultras del Milan

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Esce oggi per Mondadori L’acqua è più profonda di come sembra da sopra, l’autobiografia di Fedez che non risparmia nulla: né la fama né la fragilità, né gli scontri fisici con amici, né i momenti in cui il pensiero del suicidio si è fatto strada nella sua testa.

Il libro è una sequenza di quadri intimi e violenti, confessioni e flash che si alternano come in un girone personale: Sanremo 2025, l’interruzione di una relazione simbolica, le droghe e gli psicofarmaci, le amicizie che feriscono e le risse che feriscono ancora di più.

Uno dei passaggi più delicati riguarda il divorzio da Chiara Ferragni, una separazione che ha segnato profondamente l’artista, sia sul piano personale che pubblico. Fedez racconta come, proprio sul palco di Sanremo, sia iniziata la fine di tutto. «Tornare lì con un pezzo che è stato il mio modo di vedere davvero quello che ci è successo, quello che ho fatto», scrive, descrivendo con onestà la frattura dolorosa tra due vite che si erano intrecciate davanti al mondo intero. Il palco diventa così il luogo simbolico di un distacco che ha lasciato cicatrici profonde, mostrando la vulnerabilità dietro la fama e il successo.

A pagina 88, il ritorno a Sanremo nel 2025 è descritto come «uno scontro tra due parti di sé stessi, che non prevede che entrambe sopravvivano». Su quel palco, con gli occhi chiusi per non essere travolto dal caos, Fedez ripercorre la sua caduta e la fragilità che lo ha accompagnato in un anno tormentato. «Il corpo resterà in vita dopo l’amputazione?», si domanda, descrivendo una sensazione di perdita e dolore profondo, ma anche di lotta per sopravvivere.

Ma il libro non si limita alla dimensione pubblica. Le pagine che parlano delle relazioni private restituiscono un ritratto complesso: amici che proteggono, amici che combattono, amici che sanguinano. Tra questi, la figura di Ghali emerge con forza: “grande amico”, ma anche compagno di risse. È lo stesso Fedez a ricordare che alla “prima parola storta” Ghali si lanciava e si andava a picchiare, e che il suo amico aveva un curioso e inquietante “superpotere”: sanguinare dal naso al minimo contatto.

La descrizione di quelle risse è brutale e sincera: non sono aneddoti da cronaca leggera ma piccoli tasselli di una vita che ha imparato presto a mescolare amicizia e violenza, solidarietà e autodistruzione. Le immagini di Ghali che sanguina “a secchiate” assumono nel libro anche valore simbolico: la ferita visibile che contrasta con le ferite interiori, invisibili e ancora più profonde.

Tra i capitoli più intensi troviamo la narrazione della disintossicazione dagli psicofarmaci — pagina 63 — e la crisi che ne è seguita. Fedez racconta la decisione di «mollare gli psicofarmaci di botto» come un atto disperato e pericoloso: «erano diventate la mia pelle, la mia lingua, il mio pensiero», e senza di esse il cervello ha iniziato a urlare.

La crudezza con cui descrive quei dieci giorni — crampi, gambe come blocchi di carne molle, sogni che mangiano la realtà — rende visibile l’abisso in cui è caduto. È in quel tunnel di cemento e buio che il pensiero del suicidio lo ha sfiorato più volte: una confessione che non cerca compiacimento, ma che pretende di essere ascoltata per la sua verità.

Fedez non mitizza il proprio dolore né cerca scuse: racconta, analizza, accusa se serve e si assume responsabilità quando è il caso. Sul tema delle compagnie “pericolose”, ad esempio, affronta il caso Iovino e ribadisce un principio di libertà personale — «sono libero di uscire con chi voglio» — ma al tempo stesso riconosce che frequentazioni sbagliate possono avere conseguenze difficili da ignorare.

Il rapporto con la politica aggiunge un’ulteriore sfumatura al memoir. Il giovane artista che si avvicina al Movimento 5 Stelle, incontra Casaleggio, sale su un palco in piazza del Popolo con centomila persone e prova a immaginare una trasformazione reale. Ma la delusione arriva presto: “Grillo si incazzò” e Fedez capisce che quella rabbia popolare, che sembrava promessa di cambiamento, rischia invece di essere sopita dalle dinamiche del potere.

Così il libro si muove tra microstorie — risse con amici, notti in ospedale, l’odore dei locali dove ha cercato rifugio — e macro-riflessioni su successo, responsabilità e identità pubblica. Le parole sulle “fame” e sulla “falena” che si lascia attirare dalla luce sono forse il filo rosso più onesto dell’opera: un artista che non sempre sceglie, ma che subisce la propria traiettoria.

Eppure, nonostante la disperazione e le pagine più dure, il libro ha un’eco di ricerca: non è la resa, ma la messa a nudo necessaria per provare a ricostruire. Lo stesso racconto del suicidio sfiorato non è una celebrazione del gesto, ma un invito a comprendere quanto la fragilità mentale possa colpire chiunque — celebrità compresa — e quanto sia importante non lasciarla sola.

Fedez alterna rabbia e autoanalisi, accuse e pentimenti, e lo fa con uno stile che somiglia più alla conversazione con un amico molto onesto che al memoir studiato a tavolino. Si parla di prime scelte sbagliate, di ritorni al centro dopo essere stati ai margini, di amicizie che diventano prove di resistenza fisica ed emotiva. «Le persone credono che io decida, pianifichi, organizzi: io sono il manipolatore, lo stratega, io sono la falena. Ma la verità è che, dall’inizio, c’è una parte di me che non ha deciso quasi niente. Sin dal principio è stata una corsa, una fuga. Assecondare tutti gli impulsi, specie quelli sbagliati».

Il risultato è un libro che disorienta: fa sentire il lettore vicino e in qualche modo responsabile, perché la testimonianza non chiede pietà ma attenzione. L’acqua è più profonda di come sembra da sopra non è solo la cronaca di un crollo, è la mappa di come ci si rialza — o, almeno, di come si prova a farlo.

Per chi cerca scandali, ci sono risse e dettagli di vita vissuta; per chi cerca verità, c’è la fatica di un uomo che mette in ordine tra ferite visibili e ferite nascoste. E per chiunque abbia mai avuto pensieri oscuri, il libro è anche un monito: la sofferenza va presa sul serio, non drammatizzata né banalizzata.

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