Dei giudici di MasterChef, Giorgio Locatelli è l’ultimo arrivato, 8 anni fa, il più giovane è Cannavacciuolo e il veterano Barbieri. Per lui il 2025 è stato ricco di cambiamenti. A inizio 2025 ha chiuso la storica Locanda Locatelli, per 23 anni punto di riferimento della cucina italiana a Londra, e a maggio ha aperto il bistrot Locatelli at the National Gallery, progetto del tutto diverso da quello di un ristorante stellato. «Era tre anni che stavamo lottando – racconta Locatelli -: ci era stato chiesto un aumento di affitto che rendeva non profittevole le nostra attività. Alla fine ci siamo arresi: abbiamo deciso di chiudere. Io e mia moglie avevamo anche già pianificato un anno sabbatico in cui viaggiare. Poi si è presentata questa occasione. Lei ancora maledice di averlo fatto».
Non gliel’ha perdonata?
«Ce l’ha con sé stessa. È lei che che si è iscritta al bando. Abbiamo vinto non solo per via del nome e della qualità che assicuravamo ma proprio perché la cucina italiana è la più capibile. Quando mi aggiro tra i tavoli, mi stupisce sempre quante lingue si parlino. Vuol dire che arriva a tutti».
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Com’è cambiato il suo lavoro?
«È il bistrot interno alla National Gallery, con gli stessi orari del museo: alle 18 tutti a casa. E io posso persino permettermi di non esserci tutti i giorni. Prezzi variabili ma molto contenuti, almeno rispetto a quelli di Londra. Questo senza nulla sacrificare della qualità, sempre alta. Cavalli di battaglia: tagliatelle al ragù e il tiramisù. Serviamo circa 250 coperti al giorno ). Se pensiamo a cosa erano una volta i punti ristoro dei musei: vetrinette tristi, con panini grigiolini…».
In cucina non si invecchia: è vero?
«Quest’anno abbiamo avuto un concorrente di 92 anni. Tuttavia, se penso a me, passati i 50, sono contento di poter alleggerire i ritmi di lavoro: il peso delle ore in cucina iniziava a farsi sentire sulle gambe e non solo».
La cucina italiana è alla vigilai di una svolta importante: diventare “patrimonio immateriale” dell’Unesco. Anche solo essere in corsa la farà crescere ulteriormente?
«È una cenerentola che si è svelata e che oggi ha una narrazione che arriva a tutti con facilità. Però questo riconoscimento dovrebbe essere non un punto di arrivo (chi l’ha fatto ha sbagliato: vedi la Francia) ma di partenza: per crescere ed evolvere, non certo restare congelata in formule predefinite. Noi siamo un popolo di migranti e sono i migranti che l’hanno portata in giro, adattandola ai diversi contesti nel ricordo di quanto facevano le nonne».
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Nato a Vergiate, figlio d’arte, cresciuto nel ristorante di famiglia sul lago di Comabbio: le sue radici sono in una zona della Lombardia che non pare avere una gran tradizione in cucina. O no?
«Appena mi sono sentito libero di allontanarmi dall’influenza francese dei primi tempi, i primi signature dish che ho inserito nei miei menù sono stati coniglio e polenta e polenta coi bruscitt: piatti della nonna cui sono particolarmente legato perché ricordi d’infanzia. Ma certo non di gran fama. Ricordo mio figlio bambino, la prima volta che andammo in Sicilia tanti anni fa: “La cucina siciliana è rossa. E quella della nonna marrone”. Una sintesi perfetta».
Storie personali e radici sono le cose che voi giudici di MasterChef chiedete ai concorrenti di mettere nei piatti.
«La cucina è storia. E la mia storia è ciò che cucino. Per questo in un piatto voglio ritrovarla. La differenza tra un cuoco e uno chef è nell’emozione che questo riesce a trasmettere nel piatto che fa».
Lei è sempre gentile. E comunque paiono finiti i tempi delle urlate e dei patti buttati. Merito suo o segno dei tempi?
«Non c’ero, non so come fosse. So che accadeva. Forse era una questione di caratteri. Di mio l’umiliazione non l’ho mai praticata: dà fastidio a me e trovo che non insegni nulla. Rompere i piatti poi: con quello che costano…».

Cannavacciuolo e Barbieri recitano o sono proprio come li vediamo?
«Bruno è un po’ cattivello. Soprattutto prima delle 10 del mattino. Tipo Liz Taylor. Carbura tardi. Antonino, il più giovane e quello che al momento sta facendo le cose più innovative, è davvero molto generoso, attento a cogliere gli umori delle persone: in genere si accorge che sto soffrendo la lontananza da casa e da mia moglie, e allora fa di tutto per stemperare col buonumore il mio momento di crisi».
Cannavacciuolo ha una forte componente imprenditoriale. e Barbieri pare ormai conquistato dall’intrattenimento. Lei invece pare quello più legato al mestiere di chef. Come mai?
«Al momento ho trovato un mio baricentro. Ma anch’io ho fatto programmi tv e scritto libri. In questo momento mi piacerebbe tornare a fare qualcosa di molto simile a quanto ho fatto ai miei inizi televisivi: alla Bbc, un programma documentaristico, on the road, che fondeva la cultura del cibo e quella artistica. Il mio sogno (ma non ho ancora trovato chi lo produca) è andare a scoprire come la cucina italiana si è adattata ai diversi contesti in giro per il mondo. Penso che conoscerne e confrontarne le declinazioni ci potrebbe aiutare a ricordare che anche noi siamo stati migranti, non sempre trattati benissimo, facendoci riflettere su come vediamo i nuovi migranti che arrivano oggi tra noi».
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eleonora cozzella
03 Marzo 2023

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