A Deir al-Balah, nel cuore della Striscia di Gaza, un tappeto rosso spezza il grigio delle macerie e il marrone della terra del campo profughi: la città si prepara al “Gaza International Festival for Women’s Cinema”. La rassegna si farà – dal 26 al 31 ottobre –nonostante le bombe, nonostante il centro culturale che solitamente ospitava questi eventi sia ormai uno scheletro vuoto di calcinacci, nonostante non si trovi più il proiettore e i film si dovranno guardare in uno schermo grande come una tv – «55 pollici» specifica il fondatore del festival, Ezzalddin Shalh. La rassegna cinematografica – che quest’anno racconterà storie di donne da tutto il mondo – si aprirà con La voce di Hind Rajab della regista tunisina Kaouther Ben Hania, un film da 24 minuti di applausi alla mostra del Cinema di Venezia che racconta l’ultima chiamata di aiuto di una bambina di sei anni. I soldati israeliani responsabili della morte di Hind Rajab, della sua famiglia e dei soccorritori della Mezzaluna Rossa sono stati identificati e denunciati dall’associazione che porta il nome della giovane vittima. A Deir al-Balah il cinema diventa «vita contro la morte».
Il fondatore del festival, Ezzalddin Shalh
Per la prima volta, al “Gaza International Festival for Women’s Cinema”, La voce di Hind Rajab sarà proiettata in un paese arabo. Perché avete scelto questo film come inaugurazione?
«È una storia scioccante anche per chi vede morte tutti i giorni. Quel film non parla solo di Hind Rajab ma di tutti noi, è la storia che viviamo ogni giorno. Siamo al centro di questi avvenimenti e c’è tanta voglia di conoscere cosa succede intorno a noi, vogliamo far conoscere questa storia».
Ha senso occuparsi di cinema quando si lotta ogni giorno per sopravvivere?
«Non vogliamo arrenderci. Il modo migliore per combattere la morte è con la vita: in questo momento fare film è vita pura. Vogliamo motivare le persone a non mollare e il cinema può essere un modo per trovare nuova motivazione. Tramite i film speriamo di dare un briciolo di speranza alle persone, che ormai, hanno perso tutto. Guardare un film mette in pausa il dolore anche solo per pochi istanti. Te lo dimentichi e ti immergi in un’altra storia».
Questo festival sarà il primo dedicato al cinema delle donne, come mai questa scelta?
«Le donne hanno perso tutto, casa, affetti, i loro figli. Fra la violenza che vediamo ogni giorno abbiamo deciso di dedicare questo evento a loro. Verranno presentati 79 film da 28 Paesi diversi. Le registe e i registi scelti presenteranno film che raccontano le loro storie e le loro vite, anche al di fuori della Striscia».
La locandina del festival
Concretamente come si organizza un evento così?
«Lo organizziamo in cinque persone e ci abbiamo messo un anno. Nei giorni esatti del festival ci saranno dai 25 ai 30 volontari circa. Abbiamo il sostegno di diverse realtà internazionali: Italia, Svezia, Regno Unito principalmente. Questo ci ricorda che non siamo soli, gli abitanti di Gaza non sono abbandonati».
Quali difficoltà state incontrando nei preparativi?
«Ce ne sono tantissime, anche molto concrete: non troviamo più il nostro proiettore, dopo i bombardamenti forse è sotto le macerie. Proietteremo i film in una televisione da 55 pollici. Poi non c’è un luogo al coperto intatto: il Rashad Al-Shawwa Culture Center era un luogo di riferimento dove abbiamo organizzato altri eventi come questo ma ora è troppo danneggiato, è diventato un campo per gli sfollati. Il festival si terrà all’aperto, lo sfondo saranno le case distrutte e il red carpet sarà fra le tende dove sono costretti a vivere tanti gazawi».
Il Rashad Al-Shawwa Culture Center
Come è stato ricevuto l’annuncio della rassegna dalla popolazione palestinese?
«Organizzare questo festival significa mostrare la realtà che viviamo ogni giorno, una che fuori alla Striscia non è immaginabile. Le persone a Gaza vivono troppa guerra e morte, vogliono la vita. Molte persone da campi limitrofi ci hanno detto che sono interessati all’evento. Poter andare al cinema a vedere un film: questa è la vita che vogliamo».
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