A ottocento anni dalla morte di San Francesco e nell’anno dell’ottavo centenario del “Cantico delle Creature”, pubblichiamo un estratto del libro di padre Enzo Fortunato “E se tornasse Francesco?” da oggi in libreria
La regola
È interessante ciò che accade nella vita di questo giovane ormai maturo, che cerca di dare un’impronta all’Ordine, o meglio, alla grande famiglia francescana, ai suoi primi compagni.
Francesco non desiderava fondare un ordine né tantomeno un esercito: voleva semplicemente vivere. E infatti affermerà: «La regola e la vita dei frati minori è questa: vivere il Vangelo, seguire le orme di Cristo».
Francesco è caparbio, fermo nel portare avanti il progetto che il Signore gli ha ispirato.
Molti gli suggeriscono di adottare le regole dei grandi ordini monastici del tempo – la regola benedettina, ad esempio, basata sull’ora et labora – ma lui risponde: «No, il Signore mi ha ispirato». È la forza dei profeti, straordinaria, capace di abbattere la resistenza dei papi, dei curiali, persino degli stessi frati.
All’interno della famiglia francescana – che possiamo immaginare come ampia e articolata – si sviluppa un grande scontro. Francesco è chiamato a riscrivere la regola.
In un primo momento vi era un semplice proposito (propositum vitae), poi si giunse alla regola non bollata, fino alla regola bollata, quella definitiva.
Qualcuno l’ha definita “asciutta”, ma la prima era pervasa interamente dal Vangelo. Francesco desiderava solo questo: vivere il Vangelo.
Vi sono due episodi emblematici. Il primo, molto forte, vede Francesco davanti al Papa. Afferma di voler vivere il Vangelo come regola di vita. Il Papa gli domanda se questo stile di vita non sia eccessivamente duro. A quel punto un cardinale – anch’egli, evidentemente, ispirato da Dio – esclama: «Padre Santo, se diciamo che è troppo duro vivere il Vangelo, non stiamo forse bestemmiando il Vangelo stesso? »
Ecco allora il freno che si oppone a Francesco, ma anche la fiducia: «Va’, e testimonia il Vangelo».
I papi che ebbero a che fare con Francesco sono principalmente due: Innocenzo III e Onorio III. Due figure autorevoli per il tempo: uno combattivo, l’altro più riflessivo, ma entrambi di grande statura. Si ritrovano davanti uno straccione, desideroso di vivere una forma di vita evangelica.
Francesco, però, non si pone fuori dalla Chiesa, come molti altri uomini del suo tempo: rimane al suo interno. E sarà proprio questo a salvarlo. La Chiesa, infatti, sa anche custodire la profezia.
Se Francesco ci è arrivato fino a oggi, è proprio perché è rimasto nei binari della Chiesa.
L’episodio che segue è altrettanto forte. I frati ministri provinciali, insieme a Frate Elia – vice di Francesco – si recano a Fonte Colombo, dove il Santo sta scrivendo la nuova regola.
Francesco li vede arrivare e domanda: «Chi sono?». «Sono i ministri provinciali», gli risponde Frate Elia, «i responsabili delle fraternità». «E cosa vogliono?», chiede Francesco. Elia risponde: «Mi dicono che la regola che stai scrivendo è troppo dura. Tienila per te. Ne preferiscono una più morbida».
Francesco, con un guizzo di genio — portando con sé il suo spirito di giullare — si rivolge direttamente al Signore: «Signore, Signore, te lo dicevo che non mi avrebbero creduto?». Un gesto di straordinaria intelligenza spirituale. Francesco non risponde direttamente: lascia che sia Dio a farlo. I santi sono così: geniali, capaci di indicare una strada senza imporla.
Una cosa è certa: Francesco non è intransigente. Le fonti lo descrivono così: “intransigente con se stesso, ma madre con gli altri”.
Per questo dirà: «Mettiamo insieme regola e vita. Vogliamo rimanere nei binari, ma dentro questi binari ci siano creatività e rispetto. Il cuore della regola è il rispetto dell’uomo ».
Mi viene in mente qui Don Milani, quando diceva: «Dentro i binari faccio tutte le capriole che voglio».
E Francesco, quelle capriole, le fa proprio così, dicendo: «Se il Signore vorrà», «se vuoi», «se puoi».
Un linguaggio rispettoso della persona, aperto alla libertà, al cammino, alla possibilità.
Il perdono
Il 2015 è stato un anno straordinario: l’Anno della Misericordia. Ricorderemo tutti la famosa lettera Misericordiae Vultus, così come il gesto delle “misericordine” distribuite in Piazza San Pietro. Ma da dove attinge questa grazia il Papa?
Credo, probabilmente, dall’esperienza evangelica, certo, ma anche da ciò che Francesco d’Assisi ha voluto per i suoi frati e, soprattutto, per la gente che si recava alla Porziuncola.
C’è un episodio molto significativo, oggi conosciuto con il nome popolare di “Perdono di Assisi”. Si celebra ogni anno ed è l’indulgenza plenaria che si può ottenere visitando la Porziuncola o altri luoghi francescani. Da dove nasce questo episodio?
Credo affondi le sue radici in due esperienze vissute dal Santo.
La prima è questa: a un certo punto, Francesco si reca da Papa Onorio III e gli dice:
«Santo Padre, di recente, in onore della Vergine Madre di Cristo, ho restaurato per Voi una chiesa. Prego, mi conceda che in essa venga posta un’indulgenza senza bisogno di offerte».
Il Papa rispose: «Secondo la consuetudine, questo non si può fare. È opportuno che chi chiede un’indulgenza la meriti stendendo la mano per aiutare».
Poi aggiunse: «Indicami, tuttavia, quanti anni desideri che io fissi per questa indulgenza».
E Francesco replicò:
«Santo Padre, piaccia alla vostra Santità concedermi non anni, ma anime».
A Francesco premeva davvero elargire il dono della misericordia. Se questo venisse concesso, sarebbe un atto straordinario, valido per sempre.
Vi è anche una lettera scritta da Francesco che, a mio avviso, rappresenta la sua vera enciclica sulla misericordia.
Che cosa era accaduto?
Alcuni frati, purtroppo, avevano litigato, forse anche pesantemente. Il responsabile della fraternità andò da Francesco e gli disse: «Francesco, fammi andare in un eremo a pregare».
Il proposito, in sé, era buono. Ma Francesco volle indagare le motivazioni più profonde della richiesta e capì che, in realtà, si trattava di una fuga dal conflitto.
E allora gli rispose: «Sia per te più meritevole restare lì, proprio dove sta quel frate che ti fa passare momenti difficili. Non esigere da lui altro se non ciò che il Signore vorrà donarti, e in questo, amalo. Non pretendere che diventi un cristiano migliore. Questo sia per te più che restare appartato in un eremo.
Che non ci sia alcun frate al mondo che abbia peccato – quando è possibile peccare – che, dopo aver incrociato il tuo sguardo, se ne vada senza aver ricevuto il tuo perdono, se egli lo chiede.
E se non chiedesse perdono, chiedi tu a lui se desidera essere perdonato. E se non lo volesse, e in seguito peccasse mille volte davanti ai tuoi occhi, amalo più di me per questo, affinché tu possa attrarlo al Signore.
Abbi sempre misericordia per tali fratelli, e avvisa anche i guardiani che hai deciso di agire così».
Tre grandi passaggi abbiamo ascoltato, ma l’ultimo riguarda gli occhi.
Che cosa ci sta dicendo Francesco?
Che il perdono, prima di essere un gesto, è uno stile di vita. Lo si manifesta nella bontà dello sguardo, prima ancora che nelle parole. Ed è bellissimo quando questa bontà traspare non dalla voce, ma proprio dallo sguardo.
Gli occhi sono la finestra del cuore
Disclaimer : This story is auto aggregated by a computer programme and has not been created or edited by DOWNTHENEWS. Publisher: lastampa.it




